Nel 2021, i 19 Paesi membri del G20 hanno investito 693 miliardi di dollari nelle fonti fossili, rallentando il processo di raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Sebbene le stime per il 2021 siano provvisorie, comunque esse indicano che la spesa per il supporto alle fonti fossili è aumentata del 16%.
È quanto reso noto nel report “Climate Policy Factbook” pubblicato da Bloomberg Philanthropies e BloombergNEF (Bnef). Questo dato ha di fatto portato a una distorsione dei prezzi e ha incoraggiato l’uso e la produzione di combustibili fossili. Ha inoltre incentivato investimenti in attrezzature e infrastrutture a elevate emissioni.
Il rapporto mira ad aumentare la trasparenza e a informare sulle priorità politiche dei vari governi in vista del vertice del G20 in Indonesia e della conferenza sul clima COP27 in Egitto. In queste due occasioni, si parlerà soprattutto di come fare per raggiungere gli ambiziosi obiettivi annunciati alla conferenza COP26 di Glasgow un anno fa.
«I governi continuano a supportare le fonti fossili, compromettendo il raggiungimento degli obiettivi che loro stessi si sono posti», ha commentato Michael R. Bloomberg, inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per le tematiche “Climate Ambition and Solutions” oltre che fondatore di Bloomberg LP e Bloomberg Philanthropies. «Questo inoltre danneggia la salute pubblica e riduce la nostra possibilità di evitare gli impatti devastanti del cambiamento climatico. Dobbiamo drasticamente accelerare il passaggio all’energia pulita allontanandoci dal carbone e dagli altri combustibili fossili. E questo report evidenzia alcuni dei passi più importanti che i governi possono compiere».
In dettaglio il report pubblicato valuta il progresso di ciascuna delle nazioni appartenenti al G20 in tre aree d’azione: eliminare gradualmente il sostegno ai combustibili fossili, mettere un prezzo alle emissioni, enfatizzare la comunicazione del rischio climatico.
In riferimento al primo punto, a livello nazionale è la Cina ad aver investito maggiormente sui combustibili fossili. Tuttavia questi investimenti su base pro capite sono pari a 111 dollari nel 2020 (l’ultimo anno per cui sono disponibili dati a livello nazionale). E sono inferiori a quelli degli altri Paesi del G20 come, ad esempio, l’Arabia Saudita (1.433 dollari), l’Argentina (734 dollari) e il Canada (512 dollari). Inoltre, la Cina ha ridotto il sostegno alle fonti fossili del 12% dal 2016 al 2020. Mentre al contrario il Canada ha più che raddoppiato tale sostegno nello stesso periodo. Gli Stati Uniti, infine, hanno il totale pro capite più basso tra i Paesi del G20 (34 dollari). Ma hanno fornito il 57% in più di sussidi nel 2020 rispetto al 2016.
Relativamente solo al carbone, la quota che i Paesi del G20 hanno destinato al finanziamento di questa fonte si sta riducendo, passando dal 4,1% nel 2016 al 2,9% nel 2021. Tuttavia il carbone ha attirato in totale sostegni per 20 miliardi di dollari nel 2021. È un numero sorprendente se si considera che gran parte degli sforzi per eliminare il finanziamento di combustibili fossili si è concentrata su questa fonte.
In riferimento al secondo punto analizzato dal report, i Paesi del G20 devono fissare un prezzo in modo che le aziende e i consumatori paghino per le loro emissioni di gas serra. In totale, 12 Paesi membri del G20 hanno già adottato questa misura. L’Europa e il Canada rimangono i leader tra i Paesi del G20 per quanto riguarda l’adozione di politiche rigide sul carbone.
La terza area prioritaria, infine, riguarda la divulgazione dei rischi climatici da parte di aziende e istituzioni finanziarie. Tra i Paesi del G20, solo l’Unione Europea e il Regno Unito hanno approvato regolamenti per imporre un’informativa specifica sul rischio climatico a livello nazionale. La maggior parte dei governi del G20 si è invece limitata a lanciare progetti pilota e a pubblicare documenti volontari che consentono, proprio per il loro carattere di volontarietà, di ritardare le azioni.
«I governi del G20 e del G7 hanno annunciato una serie di target ambiziosi per eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili», ha aggiunto Victoria Cuming, head of global policy presso BloombergNEF e principale autrice della ricerca. «Tuttavia, utilizzano un linguaggio impreciso e dei cavilli tali per cui i governi possono interpretare questi impegni a loro piacimento. L’analisi condotta da Bnef mostra infatti come sembra esserci poca evidenza di come questi Paesi abbiano mantenuto le promesse».
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